Article written by Jacopo Giraudo, in Italian and French.

Torino: un viaggio sentimentale attraverso una città
Prima ancora che la custode del palazzo abbia aperto la porta del suo appartamento, pronta a trascorrere la giornata sull’uscio a discutere delle vite altrui, scivolo giù dalle scale, la giacca addosso e lo zaino sulle spalle. Esco in strada e sul marciapiede noto i segni dell’ennesimo scavo che lascerà le proprie cicatrici sull’asfalto, solchi di un tempo che sembra ripetersi ciclicamente. Mi avvio velocemente verso la stazione delle biciclette pubbliche, mentre il traffico si mostra nervoso, irrequieto come non mai. Il rumore dei clacson, i fumi di scarico delle macchine e gli sbuffi degli autobus risvegliano l’attenzione, fino a questo momento debole a causa delle scarse ore di sonno. Attraverso la carreggiata e prendo possesso di una bicicletta, attento a verificare che non vi sia alcun danno: una catena saltata, una ruota sgonfia o un pedale mancante. Posizionato lo zaino nel portaoggetti davanti al manubrio, faccio risuonare nelle orecchie le note del mio album preferito, quello con la copertina gialla e un buffo ometto disegnatovi sopra.
Comincio a pedalare lungo il corso alberato. Sono le sette e mezza del mattino di un giorno di marzo, la primavera inizia a mostrare i suoi segni grazie ai piccoli germogli che tra meno di un mese coloreranno la città. Gli alberi fanno sentire la propria presenza con le loro radici che hanno ormai devastato il fondo stradale della pista ciclabile. Sfreccio veloce, attento a schivare una donna che sta portando a passeggio il proprio labrador e un anziano che cerca di raggiungere la fermata del tram prima che il 10 riparta senza di lui. Arrivo presto davanti al grande Politecnico, un luogo che unisce davvero l’Italia, Nord e Sud in un unico enorme edificio, un labirinto non solo intellettuale dove perdersi. Sulla mia destra, intravedo tutte le magnifiche ville in cui ognuno, almeno una volta, ha sognato di abitare. La mia preferita è quella un po’ in fondo, nascosta dalle altre, una sorta di riflesso del mio essere più profondo e della mia attitudine verso le persone.
Sulla sinistra, si notano le Officine Grandi Riparazioni, edificio esemplare di come la città sia passata dall’industrializzazione più spinta a essere un polo culturale di eccellenza, trasformandosi come in una magia che ha lasciato tutti sorpresi. Intanto le gambe proseguono nel loro intento di portarmi verso la mia meta e mi fanno attraversare il grande corso che porta il nome del sovrano sotto il cui regno il mio paese ha trovato un’unità non sempre evidente.
Mentre mi perdo nei miei pensieri, arrivo all’ennesimo semaforo, anche questa volta rosso. Sulla sinistra, si notano le Officine Grandi Riparazioni, edificio esemplare di come la città sia passata dall’industrializzazione più spinta a essere un polo culturale di eccellenza, trasformandosi come in una magia che ha lasciato tutti sorpresi. Intanto le gambe proseguono nel loro intento di portarmi verso la mia meta e mi fanno attraversare il grande corso che porta il nome del sovrano sotto il cui regno il mio paese ha trovato un’unità non sempre evidente. Una rivoluzione urbanistica, quella dei viali e dei controviali, che evoca alla mente sapori parigini, un’eccezionale cartolina di presentazione alle soglie del centro storico.
La luce del sole inizia a fare capolino tra gli alberi e i palazzi: abbandono la pista ciclabile, svoltando a destra su una strada lastricata in grandi blocchi di porfido ribelli, intenti ad abbandonare la piattezza del fondo stradale per una vita verticale, segno di una dignità ritrovata. I binari del tram sono lì, a qualche centimetro dalle ruote sottili della mia bicicletta gialla, minaccia di una possibile caduta, ma un pericolo che decido di affrontare. La città cambia pian piano aspetto e anche le strade iniziano a modificarsi, farsi via via più piccole e strette. Attraverso il largo incrocio e mi fiondo verso Piazza San Carlo, il salotto della città, dove il Caval ëd Bronz osserva immobile il trascorrere del tempo, con lo sguardo rivolto verso il Palazzo Reale e alle spalle due chiese gemelle, indice di una chiara gerarchia di poteri.
I portici di Via Roma mi accolgono con la loro eleganza, come la casa di una nonna che, abbandonati gli impegni lavorativi, si dedica a curare la propria abitazione quasi fosse l’unico obiettivo della vita. Osservo questo straordinario gioco di specularità e presto mi ritrovo davanti al Castello, residenza dei sovrani d’Italia, e a Palazzo Madama, sede del Senato. La bicicletta sfreccia veloce nel centro preciso della piazza, sulle fontane che sono spente, ma in attesa di rinfrescare i ragazzi e le ragazze nelle giornate più calde che arriveranno tra qualche mese. La grande bandiera tricolore sul Palazzo Reale si muove pigramente per il debole soffio di vento che sfiora la città.
Svolto a destra e vedo comparire la punta svettante della Mole Antonelliana, una donna anziana affacciata alla finestra, intenta a osservare la vita che scorre ai suoi piedi. La strada scende all’improvviso e mi ritrovo presto accanto alla Dora Riparia, che scorre placida. Sullo sfondo appare il Campus, la mia destinazione, un’astronave atterrata da chissà dove, un edificio moderno che proietta la città nel futuro grazie al potere dell’educazione e della conoscenza. Fortunatamente trovo uno stallo libero per parcheggiare la bicicletta e mi dirigo verso la solita aula, dove forse apprenderò qualcosa di nuovo sugli studi urbani. Ma la lezione più importante me la regala la città in cui mi trovo, Torino, che con la sua discrezione e timidezza rivela una bellezza e uno splendore che non trovano eguali.
Lo stupore e la meraviglia non sono mai evidenti, ma frutto di un lavoro di riflessione che richiede tempo. Spesso l’incanto è alla nostra portata, nel nostro stesso corridoio o a due piani di distanza, ma non siamo abbastanza coraggiosi da fare quel passo decisivo e fondamentale che ci potrebbe davvero far comprendere il significato della bellezza. È un compito difficile, che richiede coraggio, ma che se viene compiuto apre nuove opportunità e regala emozioni inedite. Torino non è altro che una persona da conoscere e amare fino in fondo.
Turin : un voyage sentimental à travers une ville
Ma veste et mon sac à dos sur les épaules, je me presse de descendre les escaliers avant que la concierge de l’immeuble ouvre la porte de son appartement, prête à passer la journée sur le seuil à discuter de la vie des autres. Je sors dans la rue et sur le trottoir je remarque les signes d’une énième excavation qui laissera ses cicatrices sur l’asphalte, sillons d’un temps qui semble se répéter cycliquement. Je me dirige rapidement vers la station des vélos publiques, alors que la circulation est turbulente, agitée comme jamais auparavant. Le bruit des klaxons, les gaz d’échappement des voitures et les bouffées des bus réveillent mon attention, jusqu’alors faible en raison des peu d’heures de sommeil. Je traverse la route et je prends un vélo, en vérifiant qu’il n’y a pas de dégâts : une chaîne cassée, une roue dégonflée ou une pédale manquante. Je place mon sac à dos dans le panier du vélo, porte les écouteurs à mes oreilles et lance les notes de mon album préféré, celui avec la couverture jaune et un drôle petit homme dessiné dessus.
Je commence à pédaler sur le boulevard bordé d’arbres. Il est sept heures et demie du matin d’un jour de mars, le printemps commence à se découvrir grâce aux petits bourgeons qui coloreront la ville dans moins d’un mois. Les arbres font sentir leur présence avec leurs racines qui ont maintenant dévasté la surface de la piste cyclable. Je me dépêche, en prenant soin d’esquiver une femme qui promène son labrador et un vieil homme qui essaie de rejoindre l’arrêt de tram avant que le 10 parte sans lui. J’arrive bientôt devant le grand Polytechnique, ce lieu qui unit vraiment toute l’Italie dans un immense bâtiment, labyrinthe tant architecturale qu’intellectuel. Sur ma droite, je vois toutes les magnifiques villas, sources de fantasmes d’une autre vie pour tous ceux qui ont longé leurs murs une fois dans leur vie. Ma préférée est celle à la fin de la rue qui émerge timidement, cachée par les autres maisons ; une sorte de reflet de mon être le plus profond et de mon attitude envers les gens.
Alors que je me perds dans mes pensées, j’arrive à un autre feu, rouge lui aussi. Sur la gauche, j’admire l’Officine Grandi Riparazioni, bâtiment emblématique qui illustre la transition économique de la ville, de l’industrialisation la plus poussée à un pôle d’excellence culturelle. Pendant ce temps, mes jambes continuent de me porter vers ma destination et me font traverser le grand boulevard qui porte le nom du souverain sous le règne duquel mon pays a trouvé une unité, qui n’est toujours pas une évidence. Une révolution urbanistique, celle des viali et controviali, qui évoque à l’esprit les saveurs parisiennes, une carte postale à l’entrée du centre historique.
La lumière du soleil commence à se faire sentir à travers les arbres et les palais. J’ai tout à coup l’envie d’abandonner la planéité de la chaussée pour une vie plus pavéenne, signe d’une dignité retrouvée. Je quitte donc la piste cyclable et tourne à droite sur une route pavée de grands blocs de porphyre rebelle. Les rails du tram sont là, à quelques centimètres des roues fines de ma bicyclette jaune, menaces d’une éventuelle chute, mais un danger que je décide de braver. La ville change progressivement d’aspect et même les rues commencent à se transformer, devenant plus petites et plus étroites. Je traverse le grand carrefour et je me dirige vers la Place San Carlo, le salon de la ville, où le Caval ëd Bronz observe le temps qui passe sans bouger, en regardant vers le Palais Royal et derrière lui deux églises jumelles, tous trois signes d’une hiérarchie claire des pouvoirs.
« J’admire l’Officine Grandi Riparazioni, bâtiment emblématique qui illustre la transition économique de la ville, de l’industrialisation la plus poussée à un pôle d’excellence culturelle. Pendant ce temps, mes jambes continuent de me porter vers ma destination et me font traverser le grand boulevard qui porte le nom du souverain sous le règne duquel mon pays a trouvé une unité, qui n’est toujours pas une évidence »
Les arcades de Via Roma m’accueillent avec leur élégance, comme la maison d’une grand-mère qui, ayant abandonné ses engagements professionnels, se consacre à prendre soin de sa maison comme si cela était son seul but dans la vie. J’observe ce jeu extraordinaire de spécularité et je me retrouve bientôt devant le Château, résidence des souverains d’Italie, et Palazzo Madama, siège du Sénat. La bicyclette traverse le centre précis de la place, au-dessus des éteintes fontaines, mais en attendant de rafraîchir les jeunes garçons et les filles lors des journées les plus chaudes qui arriveront dans quelques mois. Le grand drapeau tricolore suspendu au sommet du Palais Royal se déplace paresseusement à cause du vent faible qui souffle dans la ville en cette fin d’hiver.
Je tourne à droite et je vois apparaître l’imposante pointe de la Mole Antonelliana, et une vieille femme qui regarde par la fenêtre observant la vie défiler à ses pieds. La route descend soudainement et je me retrouve bientôt à côté de la Dora Riparia, qui s’écoule tranquillement. En arrière-plan apparaît le Campus de mon Université, ma destination, un vaisseau débarqué de l’espace, un bâtiment moderne qui projette la ville dans le futur grâce au pouvoir de l’éducation et de la connaissance. Heureusement, je trouve une place libre pour garer mon vélo et je me dirige vers la salle de classe habituelle, où j’apprendrai peut-être quelque chose de nouveau sur les études urbaines. Mais la leçon la plus importante m’est donnée par la ville dans laquelle je me trouve, Turin, qui avec sa discrétion et sa timidité révèle une beauté et une splendeur inégalées.
L’étonnement et l’émerveillement n’apparaissent par évidence, mais sont le résultat d’un long travail de réflexion. Souvent, l’enchantement est à notre portée, dans notre propre couloir ou deux étages au-dessus de nous, mais nous n’avons le courage de franchir le pas décisif qui pourrait réellement nous faire comprendre le sens de la beauté. C’est une tâche difficile, mais si elle est accomplie, elle ouvre de nouvelles possibilités et donne de nouvelles émotions. Turin n’est rien d’autre qu’une personne à connaître et à aimer pleinement.
Article published on April 2020